Otto Von Kattivonen
CAPITOLO
SECONDO
A
|
Foffeneimer, die Mekanischzemaggiordomen. |
vvolto dal buio della tetra
magione, il Doktor Otto rimase ore ed ore immobile a pensare. La fievole luce
emanata dal camino sembrava attraversarne la cianotica pelle, e veniva riflessa
solo dai suoi occhi, neri come il più oscuro degli abissi, specchi
dell’oltretomba. Un’idea, una piccola preziosa idea era tutto ciò di cui aveva
realmente bisogno; forse lo zio
Mefistofelein Von Kattivonen aveva ragione quando ripeteva al piccolo Otto: “Tu
non defe mai vantare tu di tue ideen, perkè zono le ideen a scegliere loro
patrone e non vizeversen”. Ma perché questa vanitosa idea non lo avesse ancora
scelto proprio non sapeva spiegarselo. Eppure da alcuni giorni una scintilla,
una lontana luce pareva essersi accesa nella mente del dottore, un ricordo
nascosto nei più reconditi anfratti tentava di palesarsi. Ma non voleva venire
fuori; aveva provato tutti i metodi di Nonna Frieda : starnutire, stare sei ore
a testa in giù, infilarsi delle pinzette nel naso, mangiare verdura (fa bene un
po’ per tutto la verdura, mangiate la verdura). L’unica cosa che Otto aveva
capito era che in qualche modo suo nonno ricopriva un ruolo fondamentale in
tutta questa storia, ma non capiva perché, né come uno scheletro sepolto ormai
da anni avrebbe potuto aiutarlo. Non sarebbe stato affatto contento di essere
risvegliato, figuriamoci se lo aiutava … no … aiuterebbe? ... no, neanche ...
dizionario … avrebbe aiutato? Si dice così? Mi suona strano. Vabbè avrebbe
aiutato.
Il pensiero di suo nonno aveva risvegliato
nuovamente quella fievole luce, si faceva più vicina, sentiva che da un secondo
all’altro avrebbe potuto afferrarla e fare sua quella dolce e timida amante. Un
cupo e lamentoso suono rimbombò per tutta la casa, e l’ispirazione fuggì
impaurita. Otto raggelò, puro orrore e rabbia deturparono il suo
giànontroppobelvolto. Poco dopo, al risonante rumore si unì l’urlo del Doktor «DANNATEN
KAMPANELLEN!». E con poche lunghe
falcate raggiunse e violentemente aprì il tetro portone.
«Salve! Siamo Hauser e
Mauser della Hauser&Mauser Houses® l’agenzia immobiliare più famosa di Gütenstadt,
ne ha già sentito parlare? Ma certo che si! Non vive certo sperduto su un
monte! Ahahahah».
Von Kattivonen non riuscì a
contraddirlo, in quanto ancora stordito dal temibile e ineludibile attacco di
logorrea dell’agente immobiliare.
«Ora che ci siamo presentati
Signor...» si sporse per leggere la targhetta sopra il campanello e proseguì «…
Doktor Otto Von Kapitone».
«Kattivonen».
«Scusi?».
«Mio cognome ezzere Von
Kattivonen».
La storpiatura del suo nobile cognome in
qualche modo gli aveva permesso di uscire dalla terribile
trappolacantilenanteimmobiliare, chiamata più comunemente da chi nel settore “l’ipnoarraffasoldimauserhauser”.
«Sono profondamente
costernato Signor Otto “con zimpatico azzenten” ahahahah … Per tornare a noi…»
e immediatamente assunse l’espressione più seria e professionale che si possa
immaginare. Era bravo, era indubbiamente bravo nel suo lavoro. «Io e il mio qui
presente collega stiamo visitando la zona in cerca di proprietari che vorrebbero
vendere il loro immobile. Lei ne conosce qualcuno o per caso ha intenzione di
vendere? ». Ormai ripresosi completamente, e infuriato più che mai, il Doktor
sfoderò un grande disgustoso sorrisone.
«Ma kekkcoza mi è prezo.
Veniten. Entrate in mia umile und misera dimora, non zia mai ke zi parli di
affaren al fretto» e scansandosi veloce e aggraziato da un lato fece entrare
gli ospiti chiudendosi la pesante porta dietro le spalle. «Preco, Preco miei
graditen und speziali ospiten. Accomodatevi zopra qvesta grossa crocen sul
pavimenten mentre io vado nella altra stanzen a tirare leva di Botola
Infernalen».
«Scusi?!».
«Rimanete qvi mentre die
Mekanischzemaggiordomen serve uno buono te calto».
Appena Otto si dileguò facendo
svolazzare il lungo abito soprabito cinereo, dall’ombra si staccò una sagoma.
L’essere avanzava con un sordo clangore metallico e vari ticchettii. Quando
raggiunse la tenue luce delle candele i due agenti si accorsero subito che l’essere
non era umano,a dirla tutta non sembrava nemmeno vivo, dato che, incastrata
nella schiena, lentamente roteava una grossa chiave di carica. Il vassoio
d’argento che Foffeneimer, il maggiordomo meccanico di casa Von Kattivonen,
portava sospeso sulla testa si inclinava pericolosamente ad ogni passo, e le
tazzine, che avevano tutta l’aria di essere ricavate da teschi umani,
rovesciarono gran parte del loro dorato e caldo contenuto sul freddo cranio
metallico del maggiorobodomo.
Ebbero appena il tempo di appoggiare le labbra
sulle tazzine. L’eco di urla strazianti risuonò per diversi minuti nelle stanze
del cupo antro. Asciugandosi orgoglioso e soddisfatto il sudore sulla fronte
con il fazzoletto, il Doktor Otto guardò il maggiordomo e prese una tazza di tè
dal vassoio «Mio karo Foffeneimer, dobbiamo iniziare ad utilizzaren delle tazze
di plastichen per zervire tè a nostri centili ospiten. Sto finendo tutto il
zervizio di tazzinen di zia Cannibalina». Nel contempo scrutava il proprio
riflesso sulla fronte del maggiordomo mettendosi a posto il cravattino, il
quale si era impercettibilmente inclinato da un lato mentre tirava la leva
della trappola. Non aveva la minima idea di dove andasse a finire la Botola
Infernalen ne quali indicibili orrori vi fossero racchiusi, ma non gli
interessava nemmeno scoprirlo, era divertente proprio perché misteriosa. L’interruzione
seppur alquanto fastidiosa si era rivelata infine una piacevole distrazione dal
suo intenso lavoro. Ora era però giunto il momento di riprendere la ricerca.
«Foffeneimer! Antiamo in
Bibliotechen» disse Otto facendosi serio, e avanzando impettito scomparve nell’ombra,
seguito dal maggiordomo, che si teneva rispettosamente pochi passi indietro.
scusate i probabilissimi errori grammaticali
RispondiEliminanon importa...se c'è Foffeneimer tutto il resto non conta.
RispondiEliminanon importa, tornatene in albania.
RispondiEliminanon importa,mi piace l'Albania
RispondiElimina