sabato 21 gennaio 2012

Otto Von Kattivonen: Capitolo Secondo


Otto Von Kattivonen  
 
CAPITOLO SECONDO

 
A
Foffeneimer, die Mekanischzemaggiordomen.
vvolto dal buio della tetra magione, il Doktor Otto rimase ore ed ore immobile a pensare. La fievole luce emanata dal camino sembrava attraversarne la cianotica pelle, e veniva riflessa solo dai suoi occhi, neri come il più oscuro degli abissi, specchi dell’oltretomba. Un’idea, una piccola preziosa idea era tutto ciò di cui aveva realmente bisogno; forse  lo zio Mefistofelein Von Kattivonen aveva ragione quando ripeteva al piccolo Otto: “Tu non defe mai vantare tu di tue ideen, perkè zono le ideen a scegliere loro patrone e non vizeversen”. Ma perché questa vanitosa idea non lo avesse ancora scelto proprio non sapeva spiegarselo. Eppure da alcuni giorni una scintilla, una lontana luce pareva essersi accesa nella mente del dottore, un ricordo nascosto nei più reconditi anfratti tentava di palesarsi. Ma non voleva venire fuori; aveva provato tutti i metodi di Nonna Frieda : starnutire, stare sei ore a testa in giù, infilarsi delle pinzette nel naso, mangiare verdura (fa bene un po’ per tutto la verdura, mangiate la verdura). L’unica cosa che Otto aveva capito era che in qualche modo suo nonno ricopriva un ruolo fondamentale in tutta questa storia, ma non capiva perché, né come uno scheletro sepolto ormai da anni avrebbe potuto aiutarlo. Non sarebbe stato affatto contento di essere risvegliato, figuriamoci se lo aiutava … no … aiuterebbe? ... no, neanche ... dizionario … avrebbe aiutato? Si dice così? Mi suona strano. Vabbè avrebbe aiutato.
 Il pensiero di suo nonno aveva risvegliato nuovamente quella fievole luce, si faceva più vicina, sentiva che da un secondo all’altro avrebbe potuto afferrarla e fare sua quella dolce e timida amante. Un cupo e lamentoso suono rimbombò per tutta la casa, e l’ispirazione fuggì impaurita. Otto raggelò, puro orrore e rabbia deturparono il suo giànontroppobelvolto. Poco dopo, al risonante rumore si unì l’urlo del Doktor «DANNATEN KAMPANELLEN!». E con  poche lunghe falcate raggiunse e violentemente aprì il tetro portone.
«Salve! Siamo Hauser e Mauser della Hauser&Mauser Houses® l’agenzia immobiliare più famosa di Gütenstadt, ne ha già sentito parlare? Ma certo che si! Non vive certo sperduto su un monte! Ahahahah».
Von Kattivonen non riuscì a contraddirlo, in quanto ancora stordito dal temibile e ineludibile attacco di logorrea dell’agente immobiliare.
«Ora che ci siamo presentati Signor...» si sporse per leggere la targhetta sopra il campanello e proseguì «… Doktor Otto Von Kapitone».
«Kattivonen».
«Scusi?».
«Mio cognome ezzere Von Kattivonen».
 La storpiatura del suo nobile cognome in qualche modo gli aveva permesso di uscire dalla terribile trappolacantilenanteimmobiliare, chiamata più comunemente da chi nel settore “l’ipnoarraffasoldimauserhauser”.
«Sono profondamente costernato Signor Otto “con zimpatico azzenten” ahahahah … Per tornare a noi…» e immediatamente assunse l’espressione più seria e professionale che si possa immaginare. Era bravo, era indubbiamente bravo nel suo lavoro. «Io e il mio qui presente collega stiamo visitando la zona in cerca di proprietari che vorrebbero vendere il loro immobile. Lei ne conosce qualcuno o per caso ha intenzione di vendere? ». Ormai ripresosi completamente, e infuriato più che mai, il Doktor sfoderò un grande disgustoso sorrisone.
«Ma kekkcoza mi è prezo. Veniten. Entrate in mia umile und misera dimora, non zia mai ke zi parli di affaren al fretto» e scansandosi veloce e aggraziato da un lato fece entrare gli ospiti chiudendosi la pesante porta dietro le spalle. «Preco, Preco miei graditen und speziali ospiten. Accomodatevi zopra qvesta grossa crocen sul pavimenten mentre io vado nella altra stanzen a tirare leva di Botola Infernalen».
«Scusi?!».
«Rimanete qvi mentre die Mekanischzemaggiordomen serve uno buono te calto».
Appena Otto si dileguò facendo svolazzare il lungo abito soprabito cinereo, dall’ombra si staccò una sagoma. L’essere avanzava con un sordo clangore metallico e vari ticchettii. Quando raggiunse la tenue luce delle candele i due agenti si accorsero subito che l’essere non era umano,a dirla tutta non sembrava nemmeno vivo, dato che, incastrata nella schiena, lentamente roteava una grossa chiave di carica. Il vassoio d’argento che Foffeneimer, il maggiordomo meccanico di casa Von Kattivonen, portava sospeso sulla testa si inclinava pericolosamente ad ogni passo, e le tazzine, che avevano tutta l’aria di essere ricavate da teschi umani, rovesciarono gran parte del loro dorato e caldo contenuto sul freddo cranio metallico del maggiorobodomo.
 Ebbero appena il tempo di appoggiare le labbra sulle tazzine. L’eco di urla strazianti risuonò per diversi minuti nelle stanze del cupo antro. Asciugandosi orgoglioso e soddisfatto il sudore sulla fronte con il fazzoletto, il Doktor Otto guardò il maggiordomo e prese una tazza di tè dal vassoio «Mio karo Foffeneimer, dobbiamo iniziare ad utilizzaren delle tazze di plastichen per zervire tè a nostri centili ospiten. Sto finendo tutto il zervizio di tazzinen di zia Cannibalina». Nel contempo scrutava il proprio riflesso sulla fronte del maggiordomo mettendosi a posto il cravattino, il quale si era impercettibilmente inclinato da un lato mentre tirava la leva della trappola. Non aveva la minima idea di dove andasse a finire la Botola Infernalen ne quali indicibili orrori vi fossero racchiusi, ma non gli interessava nemmeno scoprirlo, era divertente proprio perché misteriosa. L’interruzione seppur alquanto fastidiosa si era rivelata infine una piacevole distrazione dal suo intenso lavoro. Ora era però giunto il momento di riprendere la ricerca.
«Foffeneimer! Antiamo in Bibliotechen» disse Otto facendosi serio, e avanzando impettito scomparve nell’ombra, seguito dal maggiordomo, che si teneva rispettosamente pochi passi indietro.


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