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CAPITOLOTERZO
Consuelo! Ti ho detto che quando lavoro non voglio che tu accenda la televisione! No, spegnila subito! Non mi interessa cosa diavolo succede a Ridge! Ecco ci voleva tanto? Allora, riprendiamo.
CAPITOLO TERZO
La luce entrava dalle alte finestre della biblioteca, così abbagliante che Otto fu costretto a portarsi una mano sulla fronte per proteggersi gli occhi. Quello era l’unico ambiente di casa Von Kattivonen in cui ai raggi solari era permesso fare il loro ingresso, rischiarando l’ampia sala, i numerosi ordinati scaffali e le pile di libri gettati a terra. Forse, dico fo
rse ma ne son certo, non c’è libro scritto dall’uomo di cui non vi fosse una copia in quella biblioteca.
La vera ricchezza qui contenuta erano però tutti i terribili e orrendamente curiosi libri riguardanti armi e torture, veleni e animali mortiferi, insomma, i modi più svariati per esercitarsi nell’arte dell’arrecar dolore o, ancor meglio, dell’ infliggere bizzarre dipartite. Ogni giorno Il dottore passava ore e ore a sfogliare i vecchi e consunti libri, mentre il sole giocava con le ombre della stanza infinita, ore passate a cercare tra carta e polvere un’idea che, senza rendersene conto, già da tempo era venuta in suo possesso. Nel frattempo Foffeneimer faceva avanti e indietro trotterellando e ticchettando con i preziosi tomi in mano, cercava i volumi tra i traboccanti scaffali, portava pile di libri mai aperti al padrone, e ne gettava altrettanti già letti in un cantone, creando così immense cataste che avevano ormai raggiunto le alte finestre della stanza. Seduto alla vecchia scrivania del nonno Otto affondava il volto tra le antiche pagine alzando i neri occhi solo quando trovava qualcosa di interessante. Allora prendeva la piuma di corvo e se lo appuntava su un foglietto di carta. Un colosso di foglietti di carta invadeva la postazione di studio.
«Foffeneimer!» urlò Von Kattivonen. I passi metallici del maggiordomo meccanico echeggiarono in lontananza, moltiplicandosi, come se un plotone di Foffeneimer stesse avanzando tra gli scaffali. Poco dopo da dietro una catasta di libri si palesò la figura del robodomo, riflettendo sulla sua pelle metallica il sole rosso che stava cadendo dietro ai monti.
«Foffeneimer!». Lasciò passare qualche secondo prima di proseguire, come se si aspettasse un “sì padrone” o un “mi dica Signore” da parte del maggiordomo. Ma come al solito l’unico suono da lui prodotto proveniva dai suoi ingranaggi. Così Otto proseguì con voce stanca ma pacata.
«Mio Karo Foffeneimer… Fuole tu portare me con tua gentilezzen tutti libri di sezzione Botole-und-effetti-speziali-di-ogni-tipen-e-per-ogni-scopen?». Esalando tutto il fiato che aveva nei polmoni per riuscire a pronunciare quest’ultima frase si lasciò andare con tutto il suo peso allo schienale dello scranno del nonno facendo cadere il capo all’indietro. Abbagliato dai raggi che entravano orizzontali dalle finestre Otto cascò dalla sedia, e il boato prodotto si confuse immediatamente con il sonoro imprecare del dottore che parve durare ore. Fredde mani d’acciaio lo sollevarono con forza da terra, forti mani che per la prima volta da molte ore a quella parte non erano impegnate da alcun libro. «Grazie mio Amiko fetele» disse il dottore espirando con voce gracchiante di dolore. «Ora dimmi però. Dove ezzere libri che ho tu chiesto?».
Il maggiordomo alzò le spalle.
«Come non ce ne essere più!».
Foffeneimer chinò la testa per scusarsi e raccolse il grosso impolverato volume che aveva lasciato cadere nel disperato tentativo di evitare una tonante craniata al padrone.
Aveva letto tutto tranne quello, l’unico volume in tutta la biblioteca che non era un libro: l’album fotografico dell’Onorevole Casata Von Kattivonen.
«Per Luciferen! Ma guarta uno poco uno. Erano anni ke io non fedeva qvesto ». Otto spalancò l’album e soffiò sulle pagine centrali per togliere la polvere. Controluce si levarono mille lucciole svolazzanti. Con un colpo di tosse appoggiò il tomo sulla scrivania e incominciò a sfogliarlo. Tutta la storia dei von Kattivonen, dal trisavolo Kaino fino alla sua nascita. «Foffeneimer! Inizia a rimettere a posto i libren per favoren» impose distratto il dottore.
La sala era ormai illuminata dalle torce poste sulle ruvide pareti di roccia quando Otto iniziò a sfogliare le foto della sua infanzia. Soffiò un’altra volta sulle pagine e si alzò la consueta nuvola di polvere, ma quando questa iniziò a posarsi sul tavolo iniziò a produrre un suono cupo e rombante. Otto impiegò qualche secondo per capire che il terribile suono non arrivava dai corpuscoli svolazzanti ma dall’enorme catasta di libri in fondo alla sala. Un rombare di tempesta riempiva la gigantesca biblioteca, le finestre si misero a tremare. Per un secondo il rumore cessò. Otto fece appena in tempo ad intravedere la nera figura di Foffeneimer sulla cima del monte di tomi, che Il rumore si ripresentò con fragore insopportabile e i libri iniziarono a franare. Per un’ attimo la nera figura di Foffeneimer parve cavalcare dell’enorme valanga di sapere, e altrettanto velocemente da questa venne inghiottito. Il dottore rimase immobile, immobilizzato, forse dalla paura (ma non saprei, è una mia ipotesi, non mi ha mai svelato cosa provò, lui diceva che si era bloccato perché gli era venuto un crampo a forza di stare seduto. Allora aspettò e si mangiò una banana. Le banane sono ottime contro i crampi. Mangiate la frutta). Mentre i libri continuavano la loro inesorabile discesa, Otto si riprese e corse verso il punto in cui il maggiordomo era stato inghiottito dalla frana. Impiegò circa tre ore per individuare e liberare Foffeneimer dalla stretta dei volumi. Il robodomo giaceva immobile, il corpo metallico pareva più freddo e senza vita del solito, la chiave di carica era stata proiettata dall’impatto a metri di distanza. Il dottor Von Kattivonen corse a prendere la chiave, girò Foffeneimer sulla schiena e la inserì nel foro che si apriva tra le scapole.
«Vivi!» impose Otto mentre faceva il primo giro di chiave. «Vivi Maledetten robodomen! Per Luciferen vivi!». Due, tre, quattro giri, ancora nulla. Cinque, sei, sette, ma il maggiordomo rimaneva immobile. All’ ottavo giro gli ingranaggi di Foffeneimer ripartirono ma con un forte cigolio, e dopo poco si fermarono di colpo con un sonoro e acuto “tac”. Il dottore provò a roteare di nuovo la chiave ma si bloccò dopo neanche mezzo giro, impiegò allora tutta la forza che aveva in corpo e con un suono di serratura che si apre, gli ingranaggi iniziarono nuovamente il loro consueto ticchettio. Otto alzò di peso il maggiordomo e gli si pose di fronte. Dall’ interno di Foffeneimer partì una musichetta che sembrava provenire da un grammofono, e con uno scatto la testa di Foffeneimer si aprì orizzontalmente. Dalla fessura che si venne a creare, posta a due centimetri sotto gli occhi come una bocca, la musichetta fuoriuscì amplificata. Con due velocissimi schiocchi di mandibola Foffeneimer iniziò a muoversi, si sgranchì la schiena, scrollò la testa metallica e si ripulì i vestiti.
«Mi sa ke ti zei rotto mio karo amiken» disse Von Kattivonen girando attorno al robodomo con le mani dietro la schiena. Foffeneimer si girò verso il suo padrone e lo fissò. Rimasero immobili a scrutarsi, poi la musica proveniente dallo scafandro metallico si bloccò
«Non sono rotto. Anzi. Lei mi ha aggiustato» la voce sembrava provenire dallo stesso grammofono che aveva suonato fino a poco tempo prima, una voce profonda, antica, ricca di orgoglio e dignità. Proseguì «Aaaa che bello, finalmente posso ritornare a parla.. » «Azpetta. azpetta uno attimo» lo interruppe Otto «tu fuole dire me ke tu parlavi una volten?». Foffeneimer scoppiò in una gracchiante risata metallica. «Certo che parlavo. Ma non so per quale motivo un giorno suo nonno mi tirò una martellata in testa, e da quel momento non riuscii più a produrre suoni.»
«Io non riesce a capire. Perché nonno Ulrich afrebbe dovuto prendere a martellaten tuo lucente Kranio?» chiese Otto curioso e ancora un po’ stupito per la scoperta. «Non lo so. Mi rincorreva roteando il martello sopra la testa e urlando “Qvesta e l’ultima volta ke tu parla”. Ma non ho mai capito perché.» rispose Foffeneimer mentre passeggiava avanti e indietro guardando le volte della sala come se fosse la prima volta. Sembrava nascondere qualcosa, pensò il dottore ancora incredulo. Otto era felice, aveva qualcuno con cui parlare con cui confidarsi, un parente metallico, un consigliere di latta. Stava iniziando a stancarsi di parlare da solo o davanti allo specchio del nonno posto in camera sua, rischiava di impazzire come suo zio Gustaf, il quale dopo trent’anni di isolamento fu ritrovato a prendere il te con i suoi piedi.
«Ah giusto! Prima che mi dimentichi» disse il robodomo girandosi di scatto verso Otto.
«Dimmi Foffeneimer» replicò Von Kattivonen facendo trapelare tutta la sua curiosità riguardo alla storia del maggiordomo.
«C’è una barzelletta che sono anni che voglio raccontarle».
«Eine barzelletten?» chiese stupito il dottore.
«Si Si..Allora mi dica, sa cosa ci faceva uno sputo sulle scale?».
«Eine sputen sulle scalen? No io non sapere.» fece Otto.
«Saliva!».
Foffeneimer scoppiò a ridere e ridendo uscì dalla stanza. Mentre l’eco della scadente freddura del robodomo continuava a rimbombare nell’ampia sala, Otto rimaneva immobile, a fissare il vuoto. Prese il fazzoletto dal taschino e si asciugò la fronte imperlata di sudore. «Cosa ho fatto».
fine terzo capitolo
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